Nutraceutica: una questione di peptidi?
Nutraceutica: nel mio post precedente, ho descritto i potenziali effetti sulla salute dei peptidi bioattivi derivati dal latte. Nello stesso articolo, però, vi ho anche parlato del problema più grande che questi peptidi hanno: una biodisponibilità estremamente bassa dovuta al fatto che vengono idrolizzati estensivamente nel tratto gastrointestinale.
Questa è una cattiva notizia per l’industria nutraceutica, che da tempo spera di utilizzare questi composti per creare nuovi prodotti. In effetti, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha recentemente espresso un’opinione negativa sugli effetti del peptide bioattivo b-casomorfina 7 su varie condizioni patologica, basandosi sul fatto che questo peptide aveva una bassa caratterizzazione, bassa relazione dose-risposta, bassa biodisponibilità ed efficacia.
Ma non tutte le speranze sono perdute.
Esiste infatti la possibilità di aumentare la biodisponibilità di questi composti e, in questo post, vorrei darvi qualche idea. Siete pronti? Analizziamo questo argomento nel dettaglio!
I peptidi bioattivi del latte provengono dall’idrolisi delle proteine del latte come le caseine e le proteine del siero del latte, idrolisi che si verifica anche durante il processo di maturazione del formaggio.
Lo sapevamo già.
Tuttavia, un’idea interessante è quella di sviluppare piccoli peptidi su misura rivolti a specifici recettori ed enzimi, al fine di stimolare selezionati effetti sulla salute. In effetti, come accennavo all’inizio di questo articolo, alcuni peptidi bioattivi potrebbero essere utilizzati come ingredienti per la nutraceutica e gli integratori. Anche se…
… gli effetti benefici dei peptidi del latte su specifiche condizioni patologiche, è comunque inferiore agli effetti che si ottengono con i farmaci.
Tuttavia, nonostante questo potenziale inconveniente, molti ricercatori interessati alla nutraceutica stanno ancora cercando di elaborare delle strategie per aumentare l’efficacia dei peptidi del latte migliorando la loro biodisponibilità. Una cosa importante da sapere a questo riguardo, è il fatto che questi composti possiedono (in teoria) la capacità intrinseca di resistere alla degradazione enzimatica e che questa capacità dipende in gran parte dalla loro composizione amminoacidica. Ad esempio, la presenza di prolina e idrossiprolina nella sequenza peptidica rende meno probabile la sua degradazione. Particolarmente rilevante è la presenza di questi aminoacidi nella posizione C o N-terminale, poiché queste ultime influenzano fortemente l’attività biologica del peptide.
Sfortunatamente, non tutti i peptidi del latte hanno una composizione amminoacidica favorevole, ossia che li renda resistenti alla degradazione enzimatica e utili alla nutraceutica. Ecco perché sono attualmente allo studio altre strategie che consentano di aumentare la biodisponibilità dei peptidi del latte, tra cui la microincapsulazione, la lipidazione, la PEG-ilazione, la polimerizzazione, lo spray-drying e altre tecniche. Ovviamente, aumentare la dose somministrata può essere una possibile soluzione. Tuttavia, alcuni peptidi potrebbero avere un livello di accettazione particolarmente basso da parte dei consumatori, a causa della loro tendenza ad avere un sapore amaro.
Inibitori enzimatici e stimolatori dell’assorbimento sono stati entrambi testati come strategie per “proteggere” i peptidi del latte dalla degradazione. Infine, un’altra idea è quella di utilizzare dei carrier (ad esempio, vescicole lipidiche, carrier colloidali, liposomi, emulsioni, ecc.).
Non sono un chimico e per me è difficile valutare quali di queste tecniche avrà maggiori speranze di successo, ma penso che qualcosa di interessante verrà scoperto dagli scienziati che stanno studiando l’applicazione di queste tecniche per rendere i peptidi del latte più biodisponibili.
Un ultimo problema è il fatto che abbiamo bisogno di linee guida migliori per valutare gli effetti di questi peptidi sulla salute umana, dal momento che molti studi sono stati effettuati soltanto in vitro oppure nell’uomo ma sottodimensionati. Sebbene siano costosi e noiosi da condurre, gli RCTs (Randomized Controled Trials, ossia gli studi di intervento) in doppio cieco rappresentano, in questi casi, il gold standard. Spero di vedere presto altri studi di questo tipo nel settore dei peptidi del latte. Conoscere le concentrazioni plasmatiche e la cinetica dei peptidi somministrati per via orale sarà ovviamente essenziale per pianificare futuri studi di intervento.
Lo sapevi?
Se la loro struttura è nota, i peptidi bioattivi possono anche essere sintetizzati.
Riferimenti bibliografici
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