di Gianluca Tognon
Nati e cresciuti nel paese d’origine della Nutella, noi italiani siamo piuttosto abituati alla pubblicità di prodotti alimentari rivolta ai bambini, così come conosciamo la loro efficacia, tant’è che la famiglia che possiede la società produttrice della famosa crema di nocciole, per quanto ne so, è da sempre la più ricca d’Italia.
A questo proposito, i risultati sui bambini europei dello studio “IDEFICS” al quale anch’io collaboro, ha recentemente rivelato che il consumo di bevande zuccherate è correlato all’esposizione alla pubblicità televisiva, indipendentemente dal fatto che i propri genitori impongano o meno ai propri figli delle norme alimentari[1]. Inoltre in un’altra pubblicazione dello stesso studio, i bambini con “comportamenti televisivi” ad alto rischio, avevano anche una maggiore probabilità di essere in sovrappeso rispetto agli altri[2]. Nessuna sorpresa: i bambini infatti, a differenza degli adulti, non possono comprendere appieno le reali finalità della pubblicità (e i rischi che ne derivano). Inoltre è noto che fino all’età di otto o nove anni, non si ha familiarità con il concetto di vendita e si tende soprattutto quindi a credere a ciò che si sente dire dagli altri. Ricercatori e specialisti di salute infantile sono pertanto d’accordo nell’affermare che la pubblicità di cibi spazzatura rivolta ai bambini sia purtroppo molto efficace. I bambini in età prescolare reputano che il cibo confezionato in un pacchetto “brandizzato” abbia un sapore migliore rispetto allo stesso alimento non confezionato in modo da sembrare di marca[3]. I più piccoli sembrano quindi essere particolarmente vulnerabili agli inganni delle tecniche pubblicitarie.
In molti paesi, le lobby industriali hanno inventato dei sistemi di autoregolamentazione volontaria per dare l’idea di osservare elevati standard nutrizionali e di preoccuparsi dei bambini in modo particolare. Tuttavia, le aziende alimentari sono state accusate qualche settimana fa da un report pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[4], di trovare modi per raggirare le norme sulla pubblicità dei prodotti non salutari per i bambini, alimentando così l’epidemia di obesità. Non è la prima volta che l’OMS effettua dei richiami per una migliore regolamentazione della pubblicità dei cibi grassi, salati e dei dolci per i bambini. Tuttavia, mentre la Danimarca, la Francia, la Norvegia, la Slovenia, la Spagna e la Svezia hanno implementato le proprie leggi secondo i dettami dell’OMS, molte lacune rimangono in altri paesi, incluso il nostro. Il rapporto sopraccitato mette in guardia circa il fatto che gli agenti pubblicitari al servizio dell’industria alimentare stiano sempre più utilizzando i siti di social network oltre ai servizi di messaggistica e, di conseguenza, riescono a interagire più facilmente con i bambini per pubblicizzare i loro prodotti, inclusi quelli meno salutari. Le aziende alimentari hanno sviluppato siti internet attraenti rivolti ai bambini e li invitano a diventare fan del loro marchio.
Internet sta diventando il sostituto della televisione, se non addirittura un potenziale fattore di rischio per la salute. A questo si aggiunga che sia internet che la televisione, contribuiscono a ridurre i livello di attività fisica dei più giovani e, a quanto pare, promuovono anche il consumo di cibo spazzatura. Tuttavia, mentre è possibile (e sano) sbarazzarsi della televisione senza conseguenze negative, potrebbe essere difficile molto più difficile sbarazzarsi del computer e di internet, ormai diventati due strumenti essenziali per lavorare e studiare.
E in Italia? L’unica limitazione che conosco riguarda la reclamizzazione e la vendita degli alcolici e superalcolici, che non può rivolgersi direttamente ai minori, né presentarli intenti al consumo di questo tipo di bevande, o collegare in qualche modo l’assunzione di bevande alcoliche alla guida. La pubblicità inoltre non deve trasmettere la convinzione che il consumo di alcolici contribuisca al successo sociale o sessuale o che l’alcol possegga proprietà di altro genere[5]. Purtroppo lo stesso zelo non è stato applicato nei confronti dei cibi spazzatura, dove l’unica limitazione di cui sono a conoscenza è un’eventuale autodisciplina del canale televisivo (e su alcuni canali nazionali in effetti, ho constatato che la pubblicità di cibi “junk” non appare durante i cartoni animati). In Italia però, correggetemi se sbaglio, non esistono formali restrizioni alla pubblicità di alimenti nelle fasce protette, sebbene come abbiamo visto prima, l’OMS abbia espresso la propria preoccupazione in proposito. Non solo, per aggiungere danno alla beffa, sono spesso proprio le scuole (dove in teoria si dovrebbe affrontare il tema dell’educazione alimentare) a distribuire dolci, pizzette e bevande dolci e gassate direttamente dai distributori automatici i quali hanno, di nuovo, l’unica limitazione di non vendere alcolici.
Regole più severe per impedire metodi tanto moderni quanto sleali per stimolare i bambini a mangiare cibi spazzatura non possono più essere rinviate e servono al più presto nuove idee per utilizzare le stesse strategie (efficaci) usate dall’industria, per promuovere invece una sana alimentazione fra i più piccoli.
Riferimenti bibliografici
[1] Olafsdottir S, Eiben G, Prell H, et al. Young children’s screen habits are associated with consumption of sweetened beverages independently of parental norms. Int J Public Health. 2013 Apr 27. Epub ahead of print. [2] Lissner L, Lanfer A, Gwozdz W, et al. Television habits in relation to overweight, diet and taste preferences in European children: the IDEFICS study. Eur J Epidemiol. 2012 Sep;27(9):705-15. Epub 2012 Aug 22. [3] Robinson TN, Borzekowski DL, Matheson DM, Kraemer HC. Effects of fast food branding on young children’s taste preferences. Arch Pediatr Adolesc Med. 2007 Aug;161(8):792-7. [4] WHO Regional Office for Europe (2013). Marketing of foods high in fat, salt and sugar to children: update 2012–2013. Available at: http://bit.ly/19Xv75P [5] D.Lgs 31 Luglio 2005, n. 177 (Testo unico della radiotelevisione).